Ministero per i Beni e le Attività Culturali - Sistema Archivistico Nazionale
 
 IL PATRIMONIO ARCHIVISTICO - SCHEDA visualizza XML
 
 
Area dell'identificazione
livello
serie
codice identificativo
IT-ASBO-00009622
 
denominazione
Persone pericolose per la sicurezza dello Stato
 
altra denominazione
Sovversivi
Casellario politico permanente
Casellario politico provinciale
 
estremi cronologici
1872 mar. 28 - 1983 giu. 25
 
integrazione alla data
con docc. in copia del 30 lug. 1984
 
consistenza
223 buste
8644 fascicoli
 
storia istituzionale/amministrativa, nota biografica
1. Primo periodo postunitario

Dopo la nascita del regno d'Italia, l'organizzazione della polizia fu regolamentata dalla legge 20 marzo 1865, n. 2248 per l'unificazione amministrativa del regno d'Italia (allegato B, legge sulla sicurezza pubblica). La legge estendeva al nuovo Stato unitario la normativa vigente presso il regno di Sardegna.
Per quel che concerne nello specifico la materia del controllo e della repressione del dissenso politico e del sovversivismo, la legge dedicò la sezione IX al tema "Dei condannati alla speciale sorveglianza della polizia" (artt. 77-83). L'art. 82, in particolare, imponeva all'autorità locale di pubblica sicurezza di tenere un apposito registro in cui annotare «gl'individui sottoposti alla speciale sorveglianza nel suo distretto».
Alla sorveglianza di polizia, che comprendeva la dichiarazione del proprio domicilio all'autorità di pubblica sicurezza e la richiesta di autorizzazione per variarlo, il divieto di uscire in determinate ore del giorno, a circolare armati e a frequentare determinate persone o assembramenti, erano per lo più condannati oziosi e vagabondi, ladri, truffatori e ricettatori.
Nulla sul sovversivismo politico. Di tale carenza ancora nel 1886 si lamentava un sociologo e funzionario di pubblica sicurezza impiegato presso l'amministrazione centrale, Giuseppe Alongi, che nel suo Polizia e delinquenza in Italia annotava: «Nessun sussidio si ha di quei congegni che rendono onnipresenti ed invisibili le altre polizie, non anagrafi, non aiuti antropometrici, ma ingombro di inutili circolari».

2. Riforme crispine

Un periodo particolarmente significativo per l'amministrazione della pubblica sicurezza in Italia si aprì con le riforme crispine del biennio 1888-89. Al volgere del 1888, infatti, il primo governo Crispi (29 luglio 1887 - 9 marzo 1889) presentò una nuova legge sulla pubblica sicurezza, data a Roma il 23 dicembre 1888, col n. 5888. L'entrata in vigore di lì a poco del nuovo codice penale, firmato dal guardasigilli Giuseppe Zanardelli e promulgato il 30 giugno 1889, impose al legislatore la necessità di coordinare la legge col codice (possibilità già prevista tra l'altro dall'art. 142 dalla stessa legge sulla pubblica sicurezza): il governo, delegato a tale scopo, predispose un testo unico della legge di pubblica sicurezza coordinata col codice penale, approvato con r.d. 30 giugno 1889, n. 6144, col relativo regolamento per l'esecuzione, dell'8 novembre dello stesso anno.

L'ingente lavoro preparatorio e di documentazione che precedette il varo delle leggi e dei provvedimenti citati a opera del governo Crispi mirò non solamente a collocare le nuove iniziative nell'ambito di quelle già adottate dagli altri stati europei, ma anche a favorire quei processi di modernizzazione dei modelli organizzativi e dei metodi di indagine che rappresentavano la fondamentale preoccupazione delle classi dirigenti dell'epoca in rapporto alle attività di controllo politico e sociale.
Crispi raccolse, inoltre, informazioni sui precedenti nel campo delle leggi eccezionali e sugli istituti dell'ammonizione e del domicilio coatto. Quest'ultimo provvedimento fu ulteriormente incrementato dalla legge del 1889 quale alternativa al carcere. Il domicilio coatto non veniva però pronunciato dalla giustizia ordinaria a seguito di regolare processo, ma da una commissione, e di prassi solamente contro chi non era possibile rinviare a giudizio per mancanza di specifiche prove di colpevolezza.

Ma Crispi non si limitò a riportare in auge i vecchi strumenti repressivi (quali le leggi eccezionali) o preventivi (come l'ammonizione e il domicilio coatto), ma provvide a individuare strade nuove, "mezzi piccini" come li definì molta critica contemporanea (anagrafe, polizia, personale ausiliario), primo fra tutti lo stretto e paziente controllo attuato dalla polizia nei confronti delle persone pericolose sul piano politico. Tali mezzi gli garantirono i maggiori progressi nella prevenzione delle mosse delle associazioni politiche più pericolose, grazie anche all'attenzione rivolta agli strumenti più moderni, quali l'introduzione della fotografia, la catalogazione e il metodo antropometrico. Alcune di queste innovazioni rivelarono una funzionalità tale da essere conservate e, anzi, nel tempo potenziate, come sarebbe avvenuto per lo Schedario biografico degli affiliati ai partiti sovversivi (1894).

Numerose e importanti, dunque, le innovazioni apportate dal riformismo crispino all'amministrazione della pubblica sicurezza già durante questa sua prima esperienza di governo. Da un rapido confronto tra la legge del 1865 e il testo unico delle leggi di pubblica sicurezza del 1889 emerge chiaramente l'intento del legislatore di concentrare sotto un unico titolo (il III) non solo tutte le disposizioni relative alle sanzioni comminabili dall'amministrazione della pubblica sicurezza (l'ammonizione, la vigilanza speciale e il domicilio coatto), ma soprattutto di affrontarvi la trattazione di quei fenomeni ritenuti ad alta pericolosità sociale (l'accattonaggio e la mendicità ad esempio, prima genericamente rubricati tra le disposizioni per l'ordine pubblico), sanabili alla stregua di un problema di pubblica sicurezza.

Tra le novità presenti in quella legislazione, che più di tutte avrebbero dovuto costituire il nucleo centrale intorno al quale far ruotare tutto il lavoro di controllo e investigazione, e che di conseguenza avrebbero dovuto maggiormente incidere sulla fisionomia degli archivi di polizia, ma che per diversi motivi non trovarono piena applicazione, valga citarne almeno due.

La prima fu quella prevista dall'art. 93 del regolamento attuativo del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza del 1889: «In ogni ufficio di pubblica sicurezza, così provinciale e circondariale come nelle sezioni di questura, sono tenuti un registro nominativo ed i fascicoli riguardanti i singoli ammoniti, sorvegliati speciali e altri pregiudicati che hanno domicilio nella rispettiva circoscrizione, nelle forme che saranno stabilite con istruzioni ministeriali. In ogni fascicolo individuale sarà tenuta una cartella biografica in cui sono riassunti tutti i precedenti, le imputazioni e le condanne del pregiudicato».
La circolare ministeriale del 4 gennaio 1890 per l'esecuzione dell'art. 93 del regolamento di pubblica sicurezza specificò poi che la cartella biografica, munita di fotografia (dove disponibile), doveva seguire il pregiudicato, e quindi l'autorità di pubblica sicurezza avrebbe dovuto provvedere a inviarla presso l'ufficio competente per il nuovo domicilio del soggetto.

La seconda innovazione, sicuramente più impegnativa per la stessa amministrazione, fu il Servizio di anagrafe statistica. Annunciato già in una circolare del 30 ottobre 1887, che fissava al 1° ottobre 1888 l'inizio dei lavori di compilazione dei fogli individuali relativi a tutta la popolazione dimorante nel raggio di giurisdizione di ciascun ufficio di pubblica sicurezza, il Servizio fu poi istituito ufficialmente dall'art. 141 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza del 1889 in ogni ufficio di sezione delle città sedi di questura, e disciplinato dagli artt. 109-115 del regolamento attuativo. Diverse circolari emanate tra il 1888 e il 1890 intervennero, poi, a meglio precisare le istruzioni per la tenuta e la compilazione dei registri. Fu ad esempio stabilito che i cartellini dei pregiudicati, dei condannati alla vigilanza speciale di pubblica sicurezza, degli ammoniti e degli assegnati a domicilio coatto dovessero avere un colore diverso dagli altri ed essere accuratamente custoditi in uno scaffale separato.
Col passare dei mesi si rese dunque sempre più evidente che l'azione di controllo della polizia avrebbe dovuto dirigersi in maniera più mirata contro gli internazionalisti e gli anarchici. In questo quadro si colloca la circolare della Direzione generale della pubblica sicurezza del 23 gennaio 1889, n. 443 con la quale si chiedeva ai prefetti di predisporre una statistica esatta degli anarchici di ogni provincia. La circolare raccomandava che fossero inviate al Ministero le generalità, i connotati e un breve profilo biografico dei capi e degli anarchici in genere e degli aderenti ai partiti sovversivi: emerge dunque chiara l'esigenza della Direzione generale di avere a disposizione nei propri archivi i dati essenziali dei maggiori oppositori politici.

Mentre, dunque, la prima tipologia di fascicoli relativa agli ammoniti avrebbe dovuto indirizzarsi al controllo esclusivo delle persone "pericolose alla società", la seconda si sarebbe indirizzata alla sorveglianza della restante popolazione, per la quale la polizia non disponeva di alcun dato.

A Bologna in particolare l'avvio del Servizio di anagrafe statistica è testimoniato dall'intensissimo scambio intercorso a partire dal dicembre 1887 tra il questore e gli ispettori responsabili delle quattro sezioni nelle quali era articolato il territorio urbano: levante, ponente, settentrione e mezzogiorno.
Dopo un'intensa fase di progettazione, il Servizio di anagrafe statistica fu effettivamente impiantato, la popolazione avvisata, gli stampati distribuiti, le strade e gli edifici censiti. Fu perfino progettato il mobilio.
L'anagrafe fu però lasciata di fatto decadere alla sostituzione del Crispi col Nicotera (febbraio 1891), per essere ripresa con gli stessi criteri e le stesse norme all'epoca del secondo ministero Crispi (15 dicembre 1893) e infine definitivamente abbandonata nel 1896 con la caduta del terzo governo Crispi (10 marzo 1896). Le motivazioni che portarono alla decisione, esposte nella circolare della Direzione generale di pubblica sicurezza del 14 ottobre 1896, paiono abbastanza chiare: l'anagrafe di pubblica sicurezza si presentava di fatto come una vera e propria duplicazione dell'anagrafe municipale.

Si è già accennato come nuovo impulso alla riforma della pubblica sicurezza, e nuovi rilevanti conseguenze sulle vicende archivistiche dei complessi legati alla sua amministrazione, sia venuta dal secondo e terzo governo Crispi (15 dicembre 1893 - 10 marzo 1896), il quale, di fronte alla crescente opposizione socialista e ai numerosi attentati anarchici (alcuni anche contro la stessa persona del presidente del Consiglio), predispose una legislazione eccezionale (temporanea, ma più volte prorogata), costituita da tre principali provvedimenti, tutti emanati il 19 luglio 1894: la legge n. 314 sui reati commessi con materie esplodenti, la legge n. 315 sull'istigazione a delinquere e sull'apologia dei reati commessi per mezzo della stampa, e la legge n. 316 sui provvedimenti di pubblica sicurezza, interamente dedicata al domicilio coatto e alla relativa commissione provinciale.

Al 25 maggio risale, invece, la circolare n. 5116 (la più rilevante da un punto di vista strettamente archivistico), con la quale si istituì, presso la Direzione generale di pubblica sicurezza (struttura che proprio in quegli anni andava acquistando un peso sempre più crescente), il Servizio dello schedario biografico degli affiliati ai partiti sovversivi (il primo embrione del casellario politico centrale). Una seconda circolare ministeriale in materia fu la n. 9329 del 16 agosto 1894, la quale intervenne a precisare quali notizie relative ai sovversivi dovessero essere riferite alla Direzione generale; una terza, mai entrata in vigore, risalente all'ottobre 1895, sollecitava gli uffici a corredare di fotografie i moduli informativi. Infine il 1° giugno 1896 fu emanata durante il secondo governo Di Rudinì (10 marzo - 11 luglio 1896) la circolare n. 5343 (generalmente ritenuta quella istitutiva del casellario politico centrale), che riuniva e coordinava tutte le istruzioni fornite fino ad allora, a testimoniare come l'innovazione, sebbene legata alla volontà dello statista siciliano, si fosse rivelata tanto funzionale nel controllo delle persone sul piano politico da essere conservata e persino potenziata.

La costituzione di uno Schedario biografico presso la Direzione generale scaturì evidentemente dalla necessità di dare risposta agli inconvenienti provocati dall'assenza di uno strumento centralizzato, col conseguente dispendio di tempo e risorse nella ricezione delle informazioni. Lo Schedario fu naturalmente il frutto di un costante contatto tra Ministero e prefetture, che, data la necessità di tenere sempre aggiornate le proprie schede, erano costrette a mantenere sempre desta l'attenzione sulle attività e gli eventuali spostamenti dei sovversivi, attuando un'incisiva azione di polizia preventiva e costituendo presso di sé piccoli schedari provinciali. Le autorità locali di pubblica sicurezza - sgravate dell'onere rappresentato dall'anagrafe statistica - furono dunque con sempre maggior frequenza e intensità coinvolte nella grandiosa operazione di allestimento e aggiornamento dello Schedario biografico. Attraverso la compilazione di due diversi moduli, essenzialmente profili biografici particolarmente dettagliati, la polizia si assicurava il controllo sugli individui considerati più temibili; proprio a partire dal biennio 1894-1896 la serie dei sovversivi presso la Questura di Bologna cominciò ad assumere una propria fisionomia e una reale consistenza.
Con l'impianto dello Schedario degli affiliati ai partiti sovversivi ebbe così inizio in forma propria il meccanismo organico della schedatura, vero emblema di tutta la congiuntura repressiva crispina.

Dall'analisi fin qui elaborata appare lampante l'evoluzione della funzione di controllo demografico e sociale espletata dalla polizia in chiave sempre più selettiva e mirata - da servizio di anagrafe statistica a servizio dello schedario biografico, da sorveglianza della popolazione al controllo esclusivo delle "persone pericolose alla società" -, a fronte di risorse sempre più scarse e dinanzi alle sempre più pressanti esigenze di prevenzione e repressione del fenomeno del sovversivismo, declinato nelle sue varie forme (anarchismo, internazionalismo, socialismo, etc.).

3. Regime fascista

Il 1926 rappresentò un ulteriore anno di svolta nella storia del controllo e della repressione del dissenso, grazie all'emanazione di una serie di provvedimenti che, oltre a determinare il transito verso la cosiddetta "dittatura a viso aperto", influenzarono significativamente la sedimentazione delle carte e generarono nuove e diverse tipologie documentarie.
Il regime fascista, infatti, attraverso un nuovo testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (approvato con r.d. 6 novembre 1926, n. 1848) sottrasse il principale dei "surrogati" del processo penale, l'ammonizione, alle competenze del presidente del locale tribunale (cui il testo unico delle leggi di pubblica sicurezza del 1889 l'aveva demandata, ex artt. 94-116), per delegarlo a una commissione provinciale composta dal prefetto, dal procuratore del re, dal questore, dal comandante l'Arma dei carabinieri reali nella provincia e da un ufficiale superiore della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale (art. 168), prevedendo che l'istituto dell'ammonizione venisse impiegato contro chi, essendo stato sottoposto a giudizio «questo sia finito con sentenza assolutoria per insufficienza di prove, ovvero sia incorso in un procedimento nel quale sia stato dichiarato, dal giudice dell'istruzione, non doversi procedere per insufficienza di prove» (art. 167). L'autorità politica veniva, così, chiamata a porre rimedio alle "mancanze" del sistema giudiziario, attraverso il rafforzamento della posizione del prefetto e di tutta l'amministrazione della pubblica sicurezza, la cui preminenza sulle strutture del partito (quali ad esempio la Milizia volontaria per la sicurezza nazionale) fu in tal modo ribadita. Il successivo testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con r.d. 18 giugno 1931, n. 773, ampliò notevolmente la gamma dei delitti per i quali era prevista l'ammonizione, collocando significativamente al primo posto quelli «contro la personalità dello Stato o contro l'ordine pubblico» (art. 165).

Anche l'antico istituto "quasi perfetto" del domicilio coatto (regolato dagli artt. 123-132 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza del 1889), ora ribattezzato confino di polizia, subì profonde modifiche: mentre in precedenza il provvedimento era stabilito da una commissione provinciale mista composta dal prefetto, dal presidente del tribunale, dal procuratore regio, dal capo dell'ufficio provinciale di pubblica sicurezza e dal comandante provinciale dell'Arma dei carabinieri, col nuovo testo del 1926 l'assegnazione al confino e la sua durata furono demandate alla commissione già prevista per l'ammonizione, che poteva pronunciarsi sia contro i soggetti già ammoniti che contro «coloro che abbiano commesso o manifestato il deliberato proposito di commettere atti diretti a sovvertire violentemente gli ordinamenti nazionali, sociali o economici costituiti nello Stato» (art. 184). Il testo unico delle leggi di pubblica sicurezza del 1931 estese il raggio d'azione della commissione anche alle «persone diffamate» e non ancora ammonite (art. 181), scardinando il tradizionale "cursus" che dalla diffida (la prima delle misure di prevenzione nei confronti di persone considerate pericolose per la sicurezza e la moralità pubblica) portava gradualmente fino al confino. Il confino di polizia non va confuso col confino semplice, istituto già previsto dal codice penale del 1889, ma soppresso col nuovo codice penale del 1930.

Il regime fascista si spinse però ben oltre, riuscendo in quello in cui i regimi liberali avevano fallito (o verso cui avevano deciso di non spingersi), vale a dire rendere in qualche modo permanenti quelle misure straordinarie di repressione che fino a quel momento erano state adoperate in circostanze di spazio e di tempo limitate. Con la legge 25 novembre 1926, n. 2008 relativa a "Provvedimenti per la difesa dello Stato" l'impiego eccezionale dei tribunali militari trovò stabile applicazione nell'istituzione di un nuovo tribunale speciale, con giurisdizione su tutto il Regno, ordinato presso il Ministero della guerra, che ne determinava la composizione, la sede e il comando presso cui stabilirlo, e giudicante i reati previsti dagli artt. 104, 107, 108, 120 e 252 del codice penale Zanardelli del 1889, oltre che naturalmente l'attentato alla vita del capo del governo, secondo «le norme del codice penale per l'esercito sulla procedura penale in tempo di guerra» (art. 7). La legge reintroduceva inoltre la pena di morte nell'ordinamento giuridico italiano.

Sempre a livello centrale fu potenziata la Divisione affari generali e riservati della Direzione generale di pubblica sicurezza del Ministero dell'interno; la Divisione venne ripartita in tre sezioni: la prima per il movimento sovversivo, con funzioni più rilevanti in materia politica (movimento sovversivo, stampa e associazioni sovversive, movimento allogeno), e da cui dipendevano il casellario politico centrale (che da schedario dei sovversivi, istituito nel 1896, si trasformò, intorno al 1927, in un vero ufficio), l'ufficio confino politico e l'Ovra; la seconda che si occupava dell'ordine pubblico; la terza dedicata al controllo degli stranieri.

Al casellario politico centrale spettava la classificazione dei sovversivi e la vigilanza di essi con forme e mezzi diversi a seconda del grado di pericolosità. Era tenuto costantemente aggiornato dalle comunicazioni inviate delle questure dislocate nelle province, nell'ambito delle quali si costituirono dei casellari politici permanenti che contenevano i fascicoli nominativi degli individui tenuti sotto sorveglianza nel territorio di competenza.

É utile a tale riguardo fornire alcuni brevi approfondimenti di natura critica necessari alla comprensione dell'operato dell'autorità di pubblica sicurezza durante il regime fascista. Bisogna infatti operare una attenta distinzione tra gli "antifascisti", gruppo più ristretto e definito, e i più numerosi "perseguitati politici". Infatti, se non c'è dubbio che molti subirono controlli, arresti e condanne, non sempre chi ne fu colpito possedeva una chiara coscienza antifascista, né tanto meno aveva svolto una coerente azione diretta contro il regime. Bisogna dunque porre dei limiti all'incidenza reale dell'antifascismo nel Paese: spesso di trattava infatti di sovversivi "inventati", scovati nella fitta schiera delle persone non inserite socialmente (talora in conseguenza di piccoli reati comuni) o espatriate con regolare passaporto per motivi di lavoro, amareggiate da una vita grama o senza speranze, ma isolate tra loro e incapaci di tradurre un generico malcontento in coscienza politica. E che il regime avvertisse la non immediata pericolosità di buona parte delle persone contro le quali esercitava repressione è confermato dai frequenti atti di clemenza. Molti delinquenti comuni, infine, data la migliore condizione dei confinati politici, assumevano atteggiamenti sovversivi e politici quando potesse derivarne un vantaggio.

4. Secondo dopoguerra

A livello centrale la riorganizzazione del casellario politico nel dopoguerra ebbe origine dalla circolare del 23 agosto 1945, n. 1-340, che prevedeva la sorveglianza di ex fascisti, anarchici, di possibili attentatori squilibrati di mente, dei condannati per vilipendio contro le istituzioni dello Stato, di separatisti e indipendentisti. Il controllo era articolato su quattro diversi livelli di sorveglianza: "continua", "attenta", "normale", "discreta"; i sorvegliati erano in gran parte estremisti di sinistra, pochi anarchici ed estremisti di destra.

Il casellario politico centrale venne soppresso soltanto nel 1987, anche se già nel 1968 alcuni ne avevano pesantemente messo in dubbio la costituzionalità; nel 1969 la Divisione affari generali e riservati era già stata sostituita dal Servizio informazioni generali e di sicurezza interna, che nel 1974 si trasformò in Ispettorato generale per l'azione contro il terrorismo.

In generale le carte più recenti conservate nei fascicoli sia del casellario politico centrale che delle questure si riferiscono alle richieste di benefici avanzate dagli ex perseguitati politici del regime fascista a seguito della legge 1° marzo 1955, n. 96, oppure alle richieste di nulla osta per il rilascio del passaporto ai soggetti che presentavano il proprio nominativo nella categoria A8.
 
Area delle informazioni sul contesto di provenienza
storia archivistica
A differenza della documentazione afferente all'archivio generale e all'archivio di Gabinetto, la categoria delle "Persone pericolose per la sicurezza dello Stato" copre un arco cronologico che comprende quasi tutto il Ventesimo secolo e rispecchia pertanto sia le tradizionali prassi archivistiche in uso durante l'Ottocento presso l'ufficio di Gabinetto (che perdurarono verosimilmente anche oltre il 1899), sia le nuove regole dettate dai titolari del Novecento.
Il titolario introdotto dalle istruzioni ministeriali del 1° giugno 1903 provvide infatti a invididuare all'interno della divisione 1ª Gabinetto la specifica categoria speciale A8 (denominata "Schedario" o "Caselle permanenti"), mentre il nuovo titolario per gli archivi delle questure, emanato con circolare del Ministero dell'interno n. 10.10083.D del 1° dicembre 1931, definì tra le materie della divisione 1ª Gabinetto quella delle "Persone pericolose per la sicurezza dello Stato", individuata sempre dall'indice A8.
La documentazione, che nel periodo precedente all'introduzione dei due titolari veniva genericamente rubricata sotto la denominazione di "Sovversivi", a partire dal 1903 fu dunque sistematicamente inserita all'interno delle griglie del titolario entro la categoria A8, destinata tra l'altro alla conservazione permanente.
In periodo fascista in particolare si assistette a una dilatazione senza precedenti, sia a livello quantitativo, ma soprattutto qualitativo, dell'attività di schedatura. Nel corso del biennio 1930-1931 la documentazione fu inoltre progressivamente riorganizzata, con la creazione, accanto ai fascc. attivi, di due sottoserie di unità archivistiche passate in fase di quiescenza (proprio nel 1931 acquisì rilevanza quantitativa il fenomeno della chiusura dei fascc.) e denominate "Radiati" (comprendente i sovversivi esclusi dalla sorveglianza di polizia perché "ravveduti" e quindi ritenuti non più pericolosi) e "Defunti".
Tali movimenti nella serie a livello locale coincisero verosimilmente col più ampio intervento di riorganizzazione del Casellario politico centrale presso il Ministero dell'interno a opera del nuovo direttore Tommaso Pennetta, che tra il 1926 e il 1932 provvide a rivedere la posizione di migliaia di sovversivi in vista della loro radiazione dal novero.
In tempi molto più tardi, difficili però da precisare, la serie si arricchì di un'ulteriore partizione, denominata "Defunti di recente", predisposta per raccogliere i fascc. dei sovversivi la cui attività si concentrò quasi interamente nei decenni del secondo Dopoguerra e, in particolar modo, nei periodi critici della Guerra fredda.
La serie rappresentò un formidabile strumento di controllo politico e sociale per la provincia di Bologna fino allo scoppio del Secondo conflitto mondiale, e in particolare fino all'anno dell'ingresso dell'Italia tra i paesi belligeranti (il 1940 si presenta come un altro significativo passaggio nell'organizzazione della documentazione, un anno che segna l'avvio dell'intensa campagna di dismissione del casellario), quando gli strumenti della prevenzione, della segnalazione e della sorveglianza di polizia cedettero progressivamente il passo alla propaganda e alla repressione. Il complesso documentario fu così relegato in una posizione marginale, nella quale fu mantenuto con scarsissime implementazioni fino all'emanazione della legge 1° aprile 1981, n. 121 recante le norme per un nuovo ordinamento dell'amministrazione della pubblica sicurezza, che sostituì ai tradizionali uffici politici che avevano fino ad allora sovrainteso alla sua organizzazione le più agili strutture e i più moderni strumenti della Divisione investigazioni generali e operazioni speciali (Digos).
Ancora però le circolari del Ministero dell'interno n. 10083/F(12)1 del 1° dicembre 1971 e n. 10.6265/10083.F(12)2 del 20 dicembre 1971 (Nuovo ordinamento degli archivi degli uffici di PS - Istruzioni), erano intervenute a stabilire una parziale riforma al sistema archivistico fin lì attuato, confermando l'A8 tra le categorie permanenti della divisione 1ª Gabinetto da conservare quindi illimitatamente.
É sulla base di queste ultime disposizioni che nel 2004 la Questura ha provveduto al versamento dell'intera categoria A8, l'unica tra le voci individuate come permanenti dal titolario del 1971 presente al momento in Archivio di Stato.

Breve nota sullo schedario in uso presso le questure

Presso le questure era in uso uno schedario nominativo comprendente "le schede relative a tutte le persone per le quali sono stati istituiti fascicoli, indipendentemente dalla divisione e dalla categoria cui si riferiscono" e "i cartellini di richiamo relativi agli individui riconoscibili mediante soprannomi o pseudonimi".
Le schede erano costituite "di una parte anteriore in cui sono indicati cognome, nome, luogo e data di nascita, professione o mestiere, soprannome o pseudonimo e sono inserite 104 caselle, 94 delle quali recanti le formule delle corrispondenti categorie destinate a fascicolazioni nominative" e "di una parte posteriore suddivisa in tre branche corrispondenti alle articolazioni dei servizi di gabinetto, giudiziari ed amministrativi, in cui sono riportati due ordini successivi di colonne per ogni divisione, destinati all'annotazione della categoria e dell'anno cui il singolo fascicolo si riferisce".
Lo schedario era realizzato con cartoncini di dimensioni uniformi (cm. 18,7 x 15,6); le schede venivano eliminate solo in caso di esclusivo riferimento a fascicoli per cui fosse definito il procedimento di scarto.
Prendendo così nota delle categorie nelle quali era possibile rinvenire precedenti del soggetto, la questura aveva una visione completa della posizione delle persone (Dati tratti da Ministero dell'interno, Direzione generale della pubblica sicurezza, Servizio polizia amministrativa e sociale, Ordinamento degli archivi degli uffici di pubblica sicurezza. Istruzioni, pp. 10-11, emanato con circolare 10083.F(12)1 del 1° dicembre 1971).
Considerato, dunque, il carattere omnicomprensivo della sua funzione, lo schedario nominativo non è stato versato in Archivio di Stato in concomitanza col trasferimento dei fascicoli della cat. A8.
 
Area delle informazioni relative al contenuto e alla struttura
ambiti e contenuti
Si compone della documentazione appartenente alla cat. A8 ("Persone pericolose per la sicurezza dello Stato") del titolario di classificazione degli atti della Questura.
Le tipologie documentarie presenti all'interno delle unità archivistiche sono tra le più varie:

- verbali di denuncia, di perquisizione, di arresto, di interrogatorio, di diffida;
- copie delle sentenze dei tribunali ordinari e straordinari;
- verbali delle commissioni per l'ammonizione e il confino;
- certificati ed estratti anagrafici e giudiziari;
- fotografie personali e segnaletiche;
- schede biografiche;
- materiale sequestrato (carte d'identità, passaporti, tessere di partito e di sindacato, materiale a stampa), corrispondenza revisionata (in originale ed in copia).
 
stato della documentazione
incrementi previsti
Nessun incremento previsto.
 
criteri di ordinamento
La serie è strutturata in tre sottoserie:

- "Radiati", che raccoglie i fascc. nominativi dei sovversivi che, per comprovato "ravvedimento", sono stati a un certo punto della loro vita dispensati dalla vigilanza da parte delle autorità di pubblica sicurezza;
- "Defunti", che parimenti raccoglie i fascc. dei sovversivi seguiti nelle loro attività fino alla morte;
- "Defunti di recente", creata per gestire i fascc. dei sovversivi la cui attività si è quasi interamente concentrata nei decenni del secondo Dopoguerra.

All'interno di ogni sottoserie i fascc. relativi ai sovversivi sono disposti in ordine alfabetico e numerati progressivamente da 1 a n.
 
chiavi di accesso
Area delle informazioni relative alla documentazione collegata e complementare
unità di descrizione collegate
Presso il Casellario politico centrale, conservato all'Archivio centrale dello Stato, piazzale degli Archivi, 27 - 00144 Roma, è rinvenibile documentazione correlata.
 
Area delle informazioni relative alle condizioni di accesso e utilizzazione
condizioni che regolano l'accesso
Si ritiene che la documentazione della cat. A8 sia soggetta al limite di consultabilità di 70 anni previsto dal D.lgs. 22 gen. 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), art. 122, c. 1.
 
lingua della documentazione
Italiano
 
caratteristiche materiali e requisiti tecnici
stato di conservazione discreto
 
inventari presenti in sala di studio
IV/305 bis a cura di S. Alongi
 
 
 
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